Avellino – L’alimentazione nel territorio campano fra vita quotidiana e rappresentazioni: convegno e mostra virtuale

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La Società Napoletana di Storia Patria, il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Napoli Federico II e l’Archivio di Stato di Avellino sono i promotori del progetto Cibo, territorio e socialitàL’alimentazione nel territorio campano fra vita quotidiana e rappresentazioni, finanziato dalla Regione Campania con il Piano di Azione e Coesione III, DGRC N. 225 del 12/07/2013.Il progetto Cibo, territorio e socialitàL’alimentazione nel territorio campano fra vita quotidiana e rappresentazioni è partito da qui per costruire una narrazione storica, letteraria, antropologica e iconografica, basata soprattutto  sulla valorizzazione del patrimonio bibliografico, documentario, di stampe, disegni e foto della Società Napoletana di Storia Patria. Un convegno (22-24 giugno 2017) evidenzia i molteplici legami del “cibo” con la vita urbana e rurale campana e le diverse modalità di produzione. E’ un viaggio per immagini e testi quello che prende forma nella mostra virtuale – visitabile collegandosi all’indirizzo:http://cibocampania.it/ – comodamente da pc, tablet, smartphone. Sei sono le sezioni che accompagnano il visitatore:1. Il cibo dal mare; 2. Il cibo della terra; 3. Qualche volta si mangiava seduti; 4. Gli arnesi della cucina; 5. Le prime pubblicità di cibo; 6. Napoli e il cibo, ai giorni nostri. Molte le curiosità che si scoprono in questo viaggio tra “Terra e Mare” in Campania. La ricetta di “Terra” tipica della”Menesta mmaretata” trascritta nel 1852 da Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino nel suo testo di “Cucina teorico-pratica”, quella della “pizza con segreto” di cui si riporta la storia di un consumatore d’eccezione, “Guglielmo Marconi” a Napoli. Passando al “Mare”, il “purpo verace” viene usato in cucina già a partire dal Trecento: nella Lettera napoletana di Giovanni Boccaccio (1339) si legge infatti che, in occasione dei festeggiamenti per la nascita di un bambino: “Li compari glie mandaro [alla madre] lo chiù biello puorpo ca bidìssivo ingimai e mandicaosìllo tutto”. La parola “fragaglia” compare per la prima volta alla fine del XIII secolo in testi milanesi nella forma fragaia, con il significato di ‘piccolo pezzo di cibo, briciola’ e, in senso figurato, di ‘cosa di scarso valore, di poco conto’. È a Napoli che, qualche secolo dopo, la parola comincia a indicare l’insieme di piccoli pesci, e compare a partire dal Seicento in testi napoletani di vario genere.Molto interessante la parte dedicata ai luoghi – ristoranti, trattorie, ecc. – di Napoli e dintorni che non esistono più. Un esempio è quello dello “Scoglio di Frisio”. “Era un lunghissimo locale che si stendeva lungo il mare aspirandone tutti gli effluvii (…). Le ampie vetrate si aprivano sull’immancabile terrazza estiva, chiusa ai lati e coperta, protesa sullo scoglio con una lunga balaustra fiorita.” Tra gli avventori d’eccezione  fu Richard Wagner, attratto oltre che dal cibo squisito di don Vincenzo Musella, detto ‘O pacchianiello, “anche da un giovane poco più che trentenne, bruno come un corsaro saraceno: era ‘O Zingariello, il più famoso posteggiatore di tutti i tempi, l’interprete più puro delle melodie di Napoli. È stato detto che l’arte o è popolare o è sublime: il sommo musico soggiacque tanto al fascino dell’umile cantore di Posillipo che volle condurlo in Germania ove lo trattenne con sé circa un anno”. Anche Gabriele D’Annunzio lasciò imperitura testimonianza sul registro degli ospiti illustri: “Al par di Saffo m’inabisserò sullo Scoglio di Frisio lanciandomi dall’alto di una fumante caldaia di vermicelli alle vongole”. A Napoli era celebre l’Hotel Bertolini’s Palace, opera dell’ingegnere scozzese Lamont Young, realizzato tra il 1892 e il 1898 in puro stile neogotico. Senza dimenticare “Vicienzo a mmare” uno dei più importanti ristoranti flegrei, chiuso da quasi cinquant’anni. La trattoria era famosa per piatti come i “cannoni Armstrong” (nome preso a prestito dalle vicine fonderie militari Armstrong), “grossi maccheroni napoletani riempiti sapientemente di…”: la ricetta non è mai stata svelata; era famosa inoltre per il suo ragù, che aveva come ingredienti segreti cioccolato e Marsala. Nel 1926 il ristorante fu rilevato da Vincenzo Maiorano, anche lui esperto del settore, che impose il nome di “Vicienzo a mmare”, che mantenne fino al 1972, anno della sua chiusura, a causa di danni provocati dal bradisismo. Il progetto prevede tre giorni di convegno e tavola rotonda sull’argomento: giovedì 22 e venerdì 23 al Maschio Angioino nella sede della Società Napoletana di storia Patria e sabato 24 giugno all’Archivio di Stato di Avellino.