Grottaminarda(AV)- La riflessione storica di Luigi Melucci sull’Alta velocità Na-Ba

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Le polemiche non sono soltanto cosa di oggi. La commissione 8 del Senato prima aveva dato un parere, diciamola tutta, sfavorevole sulla Alta Capacità Napoli – Bari, poi ripensandoci. Ma la questione risale ad un poco di tempo fa. A quando cioè, Ferdinando II di Borbone, recandosi in Puglia si fermò proprio a Grottaminarda, dove fu ospite della famiglia Ciaburri. Lo racconta storico Luigi Melucci, on una delle sue puntate dedicate ai grottesi e scritte su Facebook. E”o re”, rifece la stessa strada ad inizio del 1859,quando ritornò nella cittadina ufitana ancora a casa Ciaburri. Grottaminarda, già dall’epoca romana, era un importante snodo di collegamento. Napoli, allora, era la città più popolosa d’Europa, in cui la Corte lavorava alle innovazioni tecnologiche. Melucci, nella sua ricerca, ricorda come”il 20 giugno 1821,sotto Francesco I, fu varato il primo battello a vapore costruito in Italia” e diciotto anni dopo, con Francesco II, “la prima ferrovia italiana, una delle prime in Europa :la Napoli-Portici”. A sottolineare il bisogno di modernità. Nel discorso che tenne, prima della partenza del treno, scrive lo storico originario di Grottaminarda, che il re disse:” Gioverà senza dubbio al commercio…… Assai più godo nel mio pensiero che terminati i lavori fino a Nocera e Castellammare, io possa vederli tosto proseguiti per Avellino fino al lido del mare Adriatico”. Già lui ci aveva visto lungo.
” I treni erano considerati il mezzo più veloce, in sostituzione della diligenza, che avrebbe potuto raggiungere-dice Melucci vaste zone isolate del Meridione e contribuire al loro sviluppo economico e all’integrazione della comunità nazionale”. Quindi gli ingegneri di Ferdinando II si misero al lavoro per progettare di collegare Tirreno e Adriatico. Il Regno delle Due Sicilie guardava con particolare attenzione alle infrastrutture. Già allora bisognava uscire”dalla zona dell’osso”. Dopo che per problemi burocratici, nel 1855,si fermò il progetto dell’ingegnere pugliese Emanuele Melisurgo, due anni più tardi finalmente fu approvato dal ministro a Finanze e Lavori Pubblici, cavalier Salvatore Murena, la Sarno-Avellino e Foggia-Barletta. Si pensava si sarebbe arrivati da Avellino alla città dauna attraversando le valli del Sabato e dell’Ufita passando da Taurasi, Grottaminarda, Vallata e Ascoli Satriano, territorio pugliese. Ma il 25 maggio 1859 muore Ferdinando II re di Napoli, al quale succede Francesco I, poi con la spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi il regno dei Borbone viene abbattuto. Con i lavori fermi si approfitta per far cambiare direzione alla”Strada ferrata per le Puglie”. Dalla valle di Bovino cresce la protesta perché si preferisse la Caserta – Foggia e i comuni di Benevento, Apice ed Ariano Irpino. Come oggi, infatti, non è cambiato niente. Mentre l’Irpinia, scrive nei suoi ricordi Luigi Melucci, i ollegamenti erano sempre più carenti. Entra in campo, allora, il Comune di Sturno dove, era il 1884, il Comitato del presidente Francesco Grella, fece conoscere un nuovo progetto denominato”Ferrovia Traiana” che, da Avellino alla Puglia, passava da valle Ufita e Taurasi, Mirabella, Grottaminarda, Sturno, Vallata, Bisaccia, Lacedonia e Rocchetta S. Antonio. Itinerario appoggiato da Pasquale Stanislao Mancini. Mentre invece I sindaci della Valle dell’Ofanto, con il benestare di Francesco De Sanctis, si opposero. Era il 1885. Allora Grottaminarda ed Ariano, i centri più importanti della provincia, non erano collegati direttamente con il capoluogo. Ad ottobre il consiglio provinciale Irpino approva il tracciato Avellino Taurasi Lioni Rocchetta che terminano ad ottobre 1895.Intanto, le popolazioni della valle dell’Ufita raccolsero le firme, mandate all’allora ministro ai Lavori Pubblici Francesco Genala, per spiegare le ragioni politiche, storiche, commerciali e strategiche per includere il loro territorio. Ma il ministro fece orecchi da mercante. Le ricerche fatte da Luigi Melucci, oltre che sul web partono da un libro ancora da pubblicare, sempre scritto da lui, ” I Melucci di Grottaminarda”. La storia della sua famiglia”he integra quella locale a quella del Regno di Napoli e nazionale”. Per lo storico oggi residente a Pontassieve, in Toscana,”è un lavoro che va fatto conoscere perché grottesi ed irpini prendano coscienza dell’importanza dell’opera”. Tornando alle ricerche dell’autore, l’Ottocento si chiude così. Con Avellino che, dalla valle dell’Ufita e da Ariano, si raggiunge con difficoltà. E i progetti di quella che era l’alta Velocità di allora restano fermi. Chi spinge per una direzione, chi per un’altra. Si arriva al 1913, quando per raggiungere il capoluogo ci vogliono molte ore di viaggio. Per questo si pensa ad una linea diretta Napoli-Avellino. Ma doveva proseguire fino, almeno, a Bari perché le altre popolazioni non si sentissero ancora più isolate. E, da Vallata, insorgono. Un certo Francesco Tullio fu il capo di una rivolta, oltre che di una petizione, per chiedere che la ferrovia attraversasse la valle dell’Ufita. E le richieste furono, dopo un convegno organizzato apposta, accettate La decisione fu presa a Roma, dove Tullio aveva minacciato di marciare. Non se ne fece niente lo stesso, ci fu la Grande Guerra e tutto rimase sotto silenzio. Tra il 1927 e fino praticamente agli anni 70 del secolo scorso, furono tentati altri progetti :prima da Benevento a Lioni, via Taurasi, Mirabella, Grottaminarda e Gesualdo e poi, 1950,fu addirittura approvato in Parlamento un altro con la cittadina ufitana in mezzo tra le valli del Sele e dell’Ofanto. Quando poi, ci fu l’ insediamento Fiat proprio in valle Ufita, si tentò di collegare Napoli a Foggia. Un secolo di campanilismo hanno impedito che ci fosse una vera e propria intesa.”Eppure-dice Luigi Melucci-se si trovasse una soluzione si arriverebbe a Napoli in 40 minuti e a Roma in due ore. È un’opera strategica importante per tutta l’Irpinia. Speriamo che gli ultimi, altalenanti, sviluppi conducano ad una positiva soluzione. Valle Ufita, terra già offesa dalla mancanza di lavoro e decimata dall’emigrazione, da secoli rassegnata a scontare la lontananza dai centri urbani non può essere sempre tributaria alle esigenze degli altri e rimanere una isolata zona di periferia meridionale, senza ferrovia, per decisioni ingiuste ed errate”.

Giancarlo Vitale