Tra pochi giorni, il 14 data ufficiale, qualche giorno prima per quelle scuole che avranno deliberato una data anteriore, parte l’avventura del nuovo anno scolastico con problemi vecchi, ambizioni nuove, speranze sempre vive. L’universo scuola è una realtà così aggrovigliata, in cui per farla breve regna sovrana l’incertezza, quando la constatazione che, al di là dell’impegno a promuovere progetti, convegni, inviti a personaggi delle istituzioni e degli organi dello stato sulla necessità di promuovere e praticare la legalità, nella complessa e caotica realtà della scuola manca la certezza del diritto. Ciò che viene deciso oggi, in serata viene modificato, stravolto. Domani, altro giro altra corsa. Ma non intendo ora abbandonarmi alle geremiadi sulle cose che non vanno nella scuola che, però, riserva come ogni aspetto della realtà del paese, anche piacevoli sorprese. Per fortuna, accanto alle cose che non vanno, che hanno bisogno di correttivi se non di interventi più radicali, vi sono persone, strutture che funzionano al meglio e costituiscono quegli esempi positivi che devono costituire occasione di emulazione e di rinnovato slancio. Desidero, sulla scorta della mia più che ventennale esperienza in contesti scolastici europei, esprimere con pacatezza la mia opinione sulla proposta, per ora solo suggerita dalla Ministra della Pubblica Istruzione, a proposito dell’ipotesi di ridurre gli anni delle scuole secondarie superiori da cinque a quattro. Ho assistito a levate di scudi da parte anche di valenti uomini di scuola che hanno reagito con indignazione e risentimento all’idea di poter ridurre gli anni di studio da cinque a quattro. E qui, come suggerirebbe il padre della nostra lingua nazionale e sommo poeta, “è uopo che ben si distingua”. Parto subito dalla precisazione che la questione investe due ordini di motivi: uno di natura culturale e formativa, l’altro di natura politico-amministrativa. Per quanto attiene alla valenza formativa del quadriennio, essa non ha mai dato esiti negativi e gode ottima salute. Intanto, per inciso, sento spesso docenti lamentarsi del trattamento economico loro corrisposto e reclamare stipendi “europei”, ben sapendo che non esiste una retribuzione europea standard, ma ciascun paese mantiene la specificità sia della struttura di base del proprio sistema scolastico che la natura e gli importi delle retribuzioni. In Europa, la stragrande maggioranza dei paesi ha una scuola secondaria superiore di quattro anni; non mi pare che gli studenti stranieri abbiano una preparazione meno performante dei nostri studenti; ancora, tutte le scuole italiane all’estero funzionano con l’ordinamento quadriennale e i risultati non sono affatto diversi da quelli che fanno registrare i nostri studenti del territorio metropolitano. Di tutti i miei ex-alunni delle diverse realtà estere in cui ho operato, e sono tanti, molti svolgono con grande perizia e sicurezza le professioni che hanno scelto, e non sono pochi quelli che hanno intrapreso con successo in Italia ed all’estero la carriera accademica, senza accusare particolari ritardi o carenze. Quali potrebbero essere le cause del successo dell’ordinamento quadriennale che io ho sperimentato? Certamente, la stabilità del corpo docente, il calendario scolastico che scorre senza interruzioni impreviste, la continuità didattica, anche prescindendo dalla presenza nella stessa classe dello stesso docente, una sostanziale omogeneità degli studenti, fanno sì che la programmazione didattica predisposta all’inizio dell’anno a fine anno risulta effettivamente realizzata: questo consente di far registrare in un quadriennio quella maturazione e padronanza dei contenuti che in territorio metropolitano si conseguono nel quinquennio canonico. Da questo punto di vista non ci sono motivi di ordine didattico, nell’accezione più vasta, che sconsiglino o condannino il ricorso al quadriennio. Per quanto riguarda l’altro aspetto, politico-amministrativo, la proposta desta non poche preoccupazioni, a partire dai livelli occupazionali che farebbero registrare una diminuzione consistente di personale. In poche parole, si dovrebbe porre mano ad un nuovo ordinamento che abbia come obiettivo la salvaguardia dei livelli occupazionali attuali ed una nuova formulazione di quel che i docenti dovrebbero e/o potrebbero assicurare come servizio utile e produttivo. Parlarne con serenità e spirito costruttivo può non essere inutile perdita di tempo. Ne varrà la pena?