Fontanarosa (AV) – C’era una volta il Carro. Come lo ricorda chi ancora oggi custodisce i suoi segreti

Fontanarosa – Era proprio così che lo voleva. Alto e grosso, maestoso, eppure agile. Mario Ruzza, il maestro che ha curato sin dal dopoguerra il rifacimento di buona parte del Carro, oggi rivive attraverso i ricordi del figlio, deciso a continuare la sua opera. Ma l’obelisco di paglia, che non è mai arrivato a destinazione, lo scorso 14 agosto, per fermarsi dove è casa sua, la “punta della selece”, non è mai stato così. E c’è  Ferdinando, che da piccolo seguiva già gli insegnamenti paterni, che una comunità, quella fontanarosana, ricorda ancora con affetto e passione per la tirata.

Ferdinando Ruzza, oggi insegnante in pensione, ricorda come “il rifacimento del Carro, buona parte, nel 1948, è  stato fatto da mio padre”. Ma i tempi cambiano e, qualche anno dopo, siamo negli anni 60 del secolo scorso, il parroco del paese, don Giulio Ruggiero, volle che se ne facesse uno nuovo. E quello che, prima, era un miscuglio di stili, “romanico, barocco, rococò e gotico, mio padre lo rese più pulito ed elegante, dandogli slancio e linearità – dice Ferdinando”. Grande 28 metri, don Mario Ruzza riprogetto’ completamente l’architettura” calcolando dimensioni, disposizione e assetto – continua Ferdinando -“. Un lavoro durato tre anni, fatto gratuitamente, come direttore dei lavori, con altri artigiani che collaboravano. Il nuovo Carro è datato 1972.” Madrina di quella tirata fu la moglie dell’onorevole Fiorentino Sullo”. Ma non era completo, tanto è vero che alcune nicchie restarono vuote. Lo stesso Ferdinando, allora ragazzino, ha contribuito alla progettazione e ideazione. Mentre il padre, al quale i fontanarosani vorrebbero fosse intitolata una strada, scolpi’ una uova Madonnina lignea al posto di quella deteriorata dal tempo. La tirata è qualcosa di speciale, per Fontanarosa e per i suoi abitanti, e un misto di sacro e profano che dovrebbe tornare alle origini. “È difficile dire cosa rappresenta per noi-risponde Ferdinando Ruzza-. Le origini riportano a riti pagani antichi, forse alla dea Cerere, per ringraziamento del raccolto avvenuto. Poi con il Cristianesimo, abbandonate le connotazioni pagane, si muto’ come per tante altre tradizioni, in rito di ringraziamento per la Vergine”. Ma cosa è successo lo scorso 14 agosto? “Ripartiamo dal presente ed evitiamo gli errori passati commessi”. “Non servono commissioni, scovare i responsabili che stavano alle funi quel giorno, ma una responsabilità di tutti”.
Oggi tirare il Carro sembra diventato uno scherzo. “Anche lo svago e il divertimento sono necessari a tutto deve rientrare nei limiti. Oggi ci sono pochi adulti e troppi bambini a gestire le funi, giovani che fanno casino e non partecipano attivamente, cercando una occasione per fare baldoria”. Una volta, invece, “c’era solo uno a dirigere, coadiuvato, le delicate manovre ed il sistema di frenaggio(detta martellina, n.d.r.)  con Michele” Caterenella”e uno alle operazioni delle funi, Camillo Penta “. Per questo, secondo Ferdinando,” si deve riportare un minimo di ordine e organizzazione “. Un altro tema che sta appassionando i fontanarosani è quello del rifacimento del Carro. Che non deve essere, secondo Ruzza,” occasione per foraggiare questo o quel soggetto, o di lauti guadagni facili. Nemmeno per appuntarsi medaglie o decorazioni al valore”.
Il restauro deve prevedere “uno sforzo comune”. L’obelisco di paglia è già”unico e perfetto nel suo insieme ed ha raggiunto un livello difficilmente eguagliabile. Del resto non la ho detto io che il Carro di Fontanarosa è un’opera d’arte. Lo hanno scritto sui giornali, detto in televisione..”. Lasciate il Carro così com’è, dice praticamente, Ferdinando.” Nessuno di buon senso modificherebbe un’opera d’arte esistente. Si restaura, si consolida, con le cure necessarie, ma non si sostituisce con qualcosa di inferiore all’originale “. E i fontanarosani, ma non solo loro, la pensano alla stessa maniera. Certi che, l’anno prossimo, la “punta della selece” aspetterà che arrivi di nuovo per farsi ammirare da chi lo guarda venendo dalla piazza.

Giancarlo Vitale