Il tema dell’utilizzo di psicofarmaci, come ansiolitici, sonniferi e antidepressivi, è molto attuale. Sono farmaci il cui consumo è in aumento anche in Italia, e molti medici si interrogano da tempo sulle cause e i potenziali effetti della loro diffusione. Il legame tra malattie mentali e precarietà economica, poi, è molto complesso: se si vuole parlare sulla base delle evidenze scientifiche, al momento è difficile trarre conclusioni nette sul rapporto tra i due fenomeni. Lo stress, l’incertezza per il futuro, la precarietà del lavoro sono tutte cause che alimentano il problema. I disagi psicologici aumentano, abbiamo chiesto alcuni utili consigli in merito a Federico Sasso psicologo psicoterapeuta.
Quali sono i campanelli di allarme che devono convincere a rivolgersi al professionista per uscire dal momento di difficoltà?
“Sono sicuramente molti i campanelli di allarme a cui bisogna prestare attenzione per valutare lo stato psicologico e di disagio che una persona sta vivendo. Ovviamente, è fondamentale per un genitore o familiare stare attenti alla variazione di un comportamento, nel bene e nel male, valutare la vita sociale, la chiusura relazionale. Non da ultimo la difficoltà lavorativa ed economica”.
Su cosa e chi bisogna contare per reagire?
“Innanzitutto bisogna avere la voglia di affrontare un disagio ed essere disponibili al cambiamento. Importante poter contare sulle persone che ci stanno vicino e ci vogliono bene. Non da ultimo è fondamentale scegliere bene il professionista giusto e la rete professionale multidisciplinare a cui potersi appoggiare per reagire”.
Il ricorso allo psicofarmaco è extrema ratio?
“Il ricorso agli psicofarmaci va sempre valutata attentamente e non deve essere visto come ultima scelta o unica scelta, ma soprattutto non deve essere demonizzata. Spesso è necessario al supporto della persona e di una psicoterapia in corso o necessario per l’inizio e il buon esito di quest’ultima”.
Quando si esce dal tunnel, il merito è più del paziente o del medico?
“Non credo si possa parlare di meriti, ma di una proficua collaborazione tra medico, o medici, paziente e familiari”.
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