Coronavirus: non tutto il male viene per nuocere e l’ambiente rinasce

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Coronavirus: non tutto il male viene per nuocere!

di Paola Rullo

 

L’odorata ginestra di leopardiana memoria che, a discapito della tragedia imminente, continua a regalare al mondo il suo profumo, mai come in questo periodo di reclusione forzata si diffonde in un’aria che da settimane risulta più salubre. Con questa obbligata quarantena le città si scoprono meno inquinate e paradossalmente questa dannosa pandemia potrebbe rivelare nuove prospettive, a cominciare dagli aspetti legati all’ambiente.

Le misure di contenimento attuate dai governi hanno comportato un notevole ridimensionamento delle attività antropiche con consequenziale riduzione dei principali fattori di pressione che incidono negativamente sulla qualità dell’aria. In tale contesto, la Cina è stato il primo Paese a intraprendere misure limitative, prevedendo in poche settimane la chiusura di numerose attività produttive e industriali con notevole riduzione anche dei volumi di traffico veicolare, che rappresenta una delle principali fonti di emissioni in atmosfera. Infatti dall’analisi preliminare dei dati relativi alla qualità dell’aria, si è osservato un decremento delle concentrazioni per il biossido e monossido di azoto e per il benzene, riduzione dovuta appunto alla diminuzione del traffico veicolare.

Anche nella nostra penisola la situazione ambientale è decisamente migliorata. Da giorni circolano sul web le immagini acquisite dal satellite esaminate da Copernicus.Cams – servizio di monitoraggio dell’atmosfera promosso dalla Commissione europea – che evidenziano una diminuzione palese delle concentrazioni di biossido di azoto nella Pianura Padana. In Campania l’Arpac – attraverso un confronto tra le medie di concentrazione degli inquinanti, rilevate prima e dopo lo scorso 10 marzo, data di entrata in vigore nella regione campana delle restrizioni agli spostamenti – ha analizzato quotidianamente i dati delle centraline situate nelle cinque città capoluogo. Gli esiti hanno confermato importanti e positive variazioni spiegabili solo dai provvedimenti presi per il contenimento del contagio; infatti, dal confronto si notano importanti cambiamenti nelle concentrazioni di polveri sottili e ossidi di azoto. Risultati simili si denotano con successo anche in Europa.

In Spagna, Paese europeo più colpito dal Covid-19 dopo l’Italia, le concentrazioni di biossido di azoto si sono ridotte del 64% con un decremento più significativo nelle seguenti città: Barcellona (83%), Madrid (73%) e Valentia (64%).

In Francia, l’Airparif, organizzazione incaricata dal Ministero dell’Ambiente per il monitoraggio della qualità dell’aria, ha evidenziato come le misure di contrasto all’emergenza Coronavirus abbiano prodotto una riduzione complessiva del livello degli inquinanti in atmosfera di circa il 20-30%.

Il continente americano non fa eccezione, il Satellite Aura della Nasa ha registrato un forte calo dell’inquinamento che soprattutto negli USA risulta essere sceso del 30% rispetto alla media degli anni precedenti. Con il favore delle attività antropiche sospese e il vistoso calo delle emissioni in India dopo trenta anni si rivede l’Himalaya.

Nelle piazze delle metropoli di tutto il mondo tornano a passeggiare non solo cani e gatti ma anche specie meno urbane, un puma ad esempio è stato avvistato a Santiago del Cile. A Nara, in Giappone, un cervo passeggia indisturbato in pieno centro; in Galles le capre di montagna che generalmente vivono sul promontorio Great Orme sono scese in città. E mentre gli scoiattoli giocano in strada a Città del Messico, un elegante pavone sfila a Dubai.

La Serenissima che ha vissuto molte disavventure a causa del forte inquinamento, ritrova respiro e nei suoi amati canali ritornano le anatre. Sono diventate virali le immagini singolari che ritraggono: cuccioli di anatra che seguono la madre per una passeggiata in centro sia a Forlì che a Prato; germani reali che ne approfittano per un bagno nelle fontane di Roma, lepri che saltellano a Milano e tassi che visitano Firenze. Per effetto del lockdown l’Adriatico –  paradiso di biodiversità – ritorna azzurro dando prova in queste ultime settimane delle sue meraviglie e la Romagna torna ad affollarsi di delfini e tonni.

Dunque in questo periodo di quarantena la natura non si è fermata, continua il suo ciclo e l’accoppiamento dei panda dopo circa dieci anni di tentativi infruttuosi, lo testimonia. Nel giardino zoologico di Ocean park (Hong Kong), solo a giugno si saprà se Ying Ying darà alla luce un panda, la cui nascita sarebbe una fortuna (non solo per lo zoo) ma per tutto l’ecosistema considerando che il panda è una specie a rischio estinzione. Secondo il Lancet Countdown Report 2019, esiste un legame tra i cambiamenti climatici causati dal forte inquinamento e l’aumento della diffusione delle patologie infettive. In un pianeta più caldo: virus, batteri, funghi, parassiti potrebbero trovare condizioni ideali per esplodere, diffondersi e ricombinarsi. G. Maga, direttore dell’Istituto di Genetica molecolare del CNR-IGM di Pavia, spiega che determinati fattori, quali: i cambiamenti climatici che modificano l’habitat e l’intrusione umana in un numero di ecosistemi vergini sempre maggiore, siano coinvolti nella crescente frequenza di epidemie degli ultimi decenni. In un rapporto del 2007 sulla salute nel Ventunesimo secolo, l’Organizzazione mondiale della sanità – la stessa che ha definito ufficialmente quella del coronavirus una pandemia – avvertiva che il rischio di epidemie virali cresce in un mondo dove il delicato equilibrio tra uomo e microbi viene alterato da diversi fattori, tra i quali i cambiamenti del clima e degli ecosistemi. Altri coronavirus come SARS e MERS, e virus particolarmente gravi come HIV ed Ebola, sono lì a testimoniarlo.

Lo scioglimento dei ghiacciai, infatti, potrebbe rilasciare virus molto antichi e pericolosi. Nel gennaio 2020, un team di scienziati cinesi e statunitensi ha comunicato di avere rintracciato all’interno di campioni di ghiaccio risalenti a 15 mila anni fa, prelevati dall’Altopiano tibetano, ben 33 virus, 28 dei quali sconosciuti. Tracce del virus della Spagnola sono state ritrovate congelate in Alaska, mentre frammenti di DNA del vaiolo sono riemersi dal permafrost nella Siberia nord-orientale. Proprio il permafrost rappresenta un ambiente perfetto per conservare batteri e virus, almeno fin quando non interviene il riscaldamento globale a liberarli. E che ciò possa avvenire lo testimonia un episodio dell’estate del 2016, quando – sempre in Siberia – l’antrace ha ucciso un adolescente e un migliaio di renne, oltre a infettare decine di persone. Come sostiene D. Quammen, «più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo». La soluzione? Può essere solo in un completo ripensamento della nostra relazione con la natura: proteggere la biodiversità, fermare la crisi climatica, frenare la distruzione delle foreste e ridurre il consumo di risorse.