“Cassiopea”: la silloge poetica di Gemma Iannuzzi

"Cassiopea"

“Cassiopea”: la silloge poetica di Gemma Iannuzzi

Cassiopea è il titolo dell’ultima silloge poetica di Gemma Iannuzzi, autrice di Castel Baronia, edito da Delta 3 Edizioni e da Emanuela Sica, curatrice della collana Plenilunio. Plenilunio, così scrive Sica, è voce di voci e prova a raccontare l’incontro tra persona e arte, pensiero e visione, con uno sguardo ampio, costruttivo, anche critico, ma sempre indipendente per chi crede che la cultura non sia polvere del passato, ma respiro emozionale e salvifico del presente, slancio dinamico per il futuro.

Perché l’arte nutre l’anima, riesce anche a scuoterla nella sua immobilità, e l’aiuta a germogliare ogni giorno. Così l’autrice: Cassiopea nasce da un lavoro che non riesce a cancellare ferite aperte. Volutamente le espone. Le crepe diventano versi. Il dolore della perdita non è gettato nella polvere ma, in moto perpetuo, riprende a vivere sotto una forma diversa, quella della liberazione. Dolore come insegnamento supplementare, come una specie di esplosione di atroce verità, come occasione per una nuova resurrezione. Questa silloge non è l’esito di un flusso creativo, piuttosto è una possibilità reale di ribellarsi alla mancanza che accade in ogni evento infausto.

Eppure l’esperienza del dolore può sentirsi saldamente in equilibrio solo se poggia sulle parole dell’amore. Due vie, due narrazioni diverse che permettono di passare in rassegna diversi stati d’animo e che alla fine, riescono a liquefare i ceppi delle imposizioni del destino. Pensare poeticamente è un accorgimento per evitare il contraccolpo coartante delle scelte altrui. La materia prima concettuale è “l’illuminazione” che origina dall’ascolto dei crolli e dei deterioramenti emotivi. Cassiopea vuole decrittare il miracolo dell’amore, l’amore di Due che poi dà origine alla molteplicità, l’amore testimoniato dal modo in cui i genitori e figli guardano il mondo e dipingono l’umano nonostante il cielo corrucciato, l’amore perduto che pretende di non essere scollato dalla memoria perché c’è splendore nelle croste. Ecco, la lavatura delle cortecce dona l’occasione per venir fuori dall’arruffio di pensieri ispidi. Lo sguardo di un genitore-che ora è discosto o assente non è più vuoto se ci si aggrappa al ricordo della prima parola. È l’intensità del sentimento che tutela la bellezza del “sentire ancora”, del “sentire comunque” fino all’ultimo strato di vita. Poi c’è la promessa d’amore.

Cassiopea e Cefeo sono le uniche due costellazioni dedicate a un marito e a una moglie: il luogo dell’eternità si unisce alla memoria di ciò che è stato ed il “per sempre” è garantito nel suo compimento, difeso dalle insidie del mondo terrestre. Il balenio di folgori originato dall’intramontabile unione fa accendere di nuovo il creato e l’amore, ogni volta, riaccade. Il legame personale ed artistico tra Emanuele Sica e Gemma Iannuzzi è insito nella poesia che inaugura la prefazione del libro e che la Sica ha dedicato alla poetica di Iannuzzi.

È una questione d’incastri
certe anime si ritrovano
nel punto esatto in cui la mancanza
ha lasciato un vuoto
Il resto della gente non capirà mai
perché a distanza di anni
ancora versiamo lacrime
su rami secchi
orfani di fiorescenze
Devoti alla nostra elegia d’utopia
la respiriamo a vicenda
in una staffetta di tristezze

Ma torniamo all’ultimo nato della suddetta collana: Cassiopea, tra le costellazioni più riconoscibili del cielo boreale, è una figura che nasconde dietro la sua bellezza e il suo splendore una storia complessa, da un lato profondamente intrecciata con quella di Cefeo, il marito, e Andromeda, la figlia, ma anche con il passaggio tra diverse concezioni della società e del ruolo delle donne nel mito e nella realtà. Sempre nella prefazione, scrive Sica: “Nel periodo in cui il mito di Cassiopea fu raccontato e diffuso, il modello sociale era ormai patriarcale, e le figure femminili potenti o indipendenti venivano ridimensionate, anche nella mitologia.

Cassiopea, da simbolo di una divinità femminile di grande importanza, divenne il ritratto di una regina arrogante e vanitosa, punita per la sua superbia”. E ancora: “ In questa dimensione a metà tra sacro e ancestrale, Cassiopea, così luminosa e riconoscibile, sembra comunicare senza alcuna mediazione e direttamente con la nostra ideazione più intima anche detta immaginazione.

Ci insegna, con la severità del mito che l’accompagna, qualcosa sul tempo, mentre le stelle continuano a brillare da distanze inimmaginabili richiamando una luce che è partita quando noi non eravamo niente, non esistevamo neppure. Da qui la rimembranza che il nostro presente è solo una parte di un disegno più ampio, dove tutto è legato, interconnesso, come un puzzle gigantesco e, ancora, dove nulla si perde davvero, probabilmente si rinnova, non muore ma si trasforma”

Della poetica di Iannuzzi, Sica scrive: “Come nel verso di Emily Dickinson “Dwell in Possibility”, Iannuzzi trasforma la poesia in uno spazio di infinite aperture, dove il linguaggio diventa strumento per afferrare l’interezza.

La tensione verso l’eternità del ricordo, espressa nei versi “Stille di sangue e di sudore” fissati sui fogli, richiama l’immobilità vibrante delle immagini pasoliniane e il lavoro di scavo memoriale di Sylvia Plath. La figura del padre, chiara e al contempo inafferrabile, diventa il fulcro della memoria affettiva e riflesso dell’irriducibile “presenza nella mancanza”.

Qui, il linguaggio si trasforma in un balsamo e una ferita, simile alle pagine di Annie Ernaux, dove la perdita è un’“atroce verità” che sfida l’oblio. L’amore, concepito come fil rouge che unisce l’umano al divino, trova nella promessa eterna di Cassiopea e Cefeo un’eco universale: non è solo la celebrazione dell’unione, ma l’ostinazione del “sentire ancora”, come nei versi di Adrienne Rich, dove la relazione diventa un prisma di resistenza. Per Iannuzzi, l’amore è l’energia che dissolve le croste della sofferenza e riporta in vita il creato.

Questa visione della memoria come fiamma perenne richiama il “per sempre” di Pablo Neruda, un’eternità terrena che abita nel corpo e nel pensiero. L’idea che il dolore possa essere un’opportunità per la resurrezione e l’illuminazione richiama il concetto di anima mundi di Cristina Campo, secondo cui ogni crepa rappresenta un varco verso l’assoluto.

I versi di Iannuzzi non si limitano a raccontare un viaggio interiore, ma si configurano come una mappa emotiva in cui l’individuo è sia frammento che intero, terra e costellazione. Iannuzzi intraprende un viaggio intimo e universale, una sorta di Ulisse al femminile, guidando il lettore attraverso paesaggi emozionali profondi, simbolicamente potenti, carichi di riflessioni esistenziali.

Dai testi emerge una poetica radicata nella celebrazione della fragilità e della forza umana, spesso intrecciate in un dialogo con la natura e il cosmo. In “Vorrei darti l’esatta misura di ciò che mi cammina dentro le ossa”, l’autrice esplora l’idea di una connessione che va oltre l’individualità: l’essenza di un amore o di un legame che si manifesta nella “congiunzione planetaria” e nell’“essere globale”.

La poetica si orienta verso una visione olistica, in cui il microcosmo personale riflette una complessità che trova ordine e completezza. In ogni poesia, Iannuzzi, sembra racchiudere una filosofia esistenziale che si concentra sull’accettazione della fragilità umana e sull’importanza delle relazioni come fonte di significato. Il dolore e l’assenza, pur essendo temi centrali, non portano mai a un completo annichilimento; al contrario, si trasformano in occasioni per riflettere, amare e continuare a vivere con consapevolezza.

La poetica si fonda su un linguaggio simbolico e ricco di immagini, oscillando tra concretezza e astrazione, e mostrando un continuo dialogo tra il mondo interiore e quello esteriore.

In conclusione, alcune liriche tratte dalla silloge:

Come un bolide

Ancora il rovescio delle palpebre assottigliato dal fulgore di una gemma

mi accosto a te che vinci provvisto di inenarrabile amore
Lucida follia che coglie in te l’epicentro,
come un bolide piomberei sul tuo nuovo altare
restando a vegliarti per un tempo infinito.

Panno di carta

Il cuore è ruzzolato per le scale, mi hai lasciato rovi e spine, una casa di argilla un prato
di papaveri avvizziti. Baciate la polvere, chiedete asilo al vento rovente, allungate la
pioggia a lavare le scorticature. Per te avrei radunato tutti i punti del mondo, adesso
rimane lo squarcio in un cielo di plastica L’attesa del niente avvolta in un panno di carta

.

Materia

Pare che il cielo riproduca ogni volta la tua materia. I vuoti negli occhi larghi di perdita.
Io ti volevo in posa nei nostri spazi muti, con la parola al confine delle mie solitudini, ma
non so stare al mondo senza il tuo calore. Il silenzio alla lunga si fa verbo al passato, tu
però sei presente e futuro. Io prendo pietre dalle macerie e raccolgo scene e suoni per

tenerti, ancora ondula il principio dei tuoi gesti tremano i fiori nell’erba con la foga del

vento, mi sottraggo al rimpatrio dell’inverno, m’assicuro una nuova prospettiva perché
tanto abito le mani che mi hai stretto. Io vengo dalle melodie del tuo altrove, dalla
pioggia che col cielo generi e le mie cose migliori risplendono di te.

Alcuni versi sono accompagnati da grafiche impattanti e coinvolgenti realizzate da Nicoletta Iannuzzi e sottolineano quanto a volte sia importante un’immagine per rafforzare il senso del messaggio veicolato dalle parole. Eccone alcune.