Nappi(Lega): Caro Governo, le politiche del lavoro non si improvvisano.

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Nappi(Lega): Caro Governo, le politiche del lavoro non si improvvisano.

La Nota: Di fronte alla pandemia non ancora superata, al rischio di un nuovo lockdown e soprattutto all’arrivo di una spaventosa crisi economica, la tutela del lavoro diventa più che mai la priorità. E quindi ci saremmo tutti aspettati che il governo si concentrasse e tirasse fuori un piano. E invece no. In tutto questo arco di tempo le uniche “risposte” sono state cassa integrazione e blocco dei licenziamenti. Hanno pure provato a convincere il Paese che questa fosse la strada giusta. Purtroppo non è affatto così. Dietro queste scelte non c’è altro che la speranza di un miglioramento dell’economia che si porti via quello che, inevitabilmente, rischiamo che accada ugualmente, e cioè una valanga di licenziamenti e di chiusure. E lo dimostra il fatto che, nonostante i blocchi e i divieti, hanno già chiuso, soltanto nel Nostro Posto, 20.000 imprese mentre, per settembre, le associazioni di categoria annunciano che altre 45.000 serrande verranno abbassate per sempre. La cosa paradossale è che ci troviamo di fronte ad un meccanismo tanto inefficiente rispetto all’obiettivo di salvaguardare l’occupazione quanto assai costoso. A cui si aggiungono altri aspetti che paiono essere totalmente sfuggiti ai nostri incerti governanti. In primo luogo, i tempi di pagamento della cassa integrazione che, tra ritardi e acconti, gettano ogni mese nell’incertezza i lavoratori, con l’inevitabile riflesso di contrarre ulteriormente i consumi. Senza contare l’effetto conseguente al fatto che i lavoratori in cassa integrazione (come del resto anche quelli pubblici in smart working), non uscendo di casa per andare a lavorare, non alimentano più il naturale ciclo economico dei servizi: caffè, pranzi, carburante, acquisti, ecc. Ci fossero in cassa i soldi perché questo immobilismo durasse in eterno, ma non è possibile. E quindi, quando il divieto cadrà, i licenziamenti fioccheranno, con conseguenti effetti sui conti pubblici che ugualmente paiono del tutto ignorati dal governo. Ecco perché mi permetto di offrire un suggerimento. Invece di continuare a favorire un meccanismo inutilmente assistenziale bisogna invertire il processo. I soldi della cassa integrazione vanno dati direttamente alle imprese che scelgono di aprire, di riaprire e ancor di più di assumere. Il costo integrale della cassa integrazione per ciascun lavoratore va assegnato direttamente all’impresa a condizione che lo richiami in servizio o ne assuma uno nuovo con un contratto stabile e regolare. A costi invariati per le finanze pubbliche, si otterrà immediatamente il risultato di rimettere sul mercato del lavoro milioni di persone, stimolando la ripresa, non l’immobilismo. E questo senza immaginare quanto si potrebbe fare sul versante del costo del lavoro se si concentrassero le mille mance che il governo “regala” in un’unica misura generalizzata di riduzione stabile di imposte e contributi. Questo è un modo semplice, ma forte, di stimolare realmente la produttività e di dare una ragione a quell’ampia parte del nostro sistema produttivo che non si rassegna a chiudere, ma ha necessità di vedere al suo fianco uno Stato che sia “socio”, non esattore.