Con 10 pillole si potrà curare a casa il Covid, costeranno 700 euro di Giovanni Savignano

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Con 10 pillole si potrà curare a casa il Covid, costeranno 700 euro

Attesa fra un mese l’autorizzazione negli Usa per il medicinale della Merck, l’Europa seguirà. Polemiche per il prezzo, che sicuramente in seguito scenderà

L’azienda farmaceutica Merck (che fuori dagli  Usa si chiama “Gruppo Msd”) ha dato la notizia che aspettavamo: il farmaco anti-virale contro il Covid-19 c’è e sarà autorizzato negli Stati Uniti tra un mese, l’Europa seguirà. Dopo i vaccini, la notizia di una terapia a base di compresse da ingerire a casa con un bicchier d’acqua, fa ben sperare , ed è stata accolta con grande entusiasmo.   All’interno del corpo, questa pillola danneggia e guasta il genoma (patrimonio genetico) del coronavirus e cerca di impedirgli di replicarsi. Era allo studio da una decina di anni come antivirale generico, ma con la pandemia gli scienziati di varie università americane che l’avevano messo a punto hanno accelerato i test per usarlo contro il Covid.

Il principio attivo del prodotto farmaceutico  si chiama “molnupiravir”, ed è stato scoperto alla Emory University di Atlanta (Usa), dove gli studiosi si sono attivati dal 2013: difatti, col sopraggiungere della pandemia il molnupiravir era considerato un potenziale trattamento anti-influenzale ad ampio raggio di azione. Questo nuovo medicamento antivirale appartiene alla classe degli analoghi ribonucleosidici  ed agiscono inserendosi  in un filamento di Rna virale di nuova formazione, impedendogli di crescere e di moltiplicarsi.

L’emergenza pandemica ha convinto i ricercatori a sperimentarlo anche contro il Covid 19 /Sars-Covid 2, nelle varie fasi del percorso. La Merck, dopo aver contrattato i diritti di sviluppo del prodotto dall’Università, rende pubblici i risultati preliminari dei test di fase 3 realizzati negli Usa e in altri 22 Paesi. Trattasi della fase finale che precede la possibile approvazione, laddove il farmaco viene utilizzato e sperimentato su un vasto campione di volontari -con sintomatologia da Covid di lieve e moderata entità- da confrontare con un analogo gruppo che assume un placebo o un’altra terapia. A detta dell’azienda, nel campione trattato con il farmaco, il 7,3% dei pazienti è stato ospedalizzato o è deceduto; in quello che ha avuto il placebo la medesima percentuale è giunta al 14,1%.

Tra i volontari positivi al tampone e a rischio di ammalarsi gravemente, molnupiravir ha dimezzato il rischio di ricovero (7,3% rispetto al 14,1% dei volontari che avevano preso il placebo). Otto persone sono morte di Covid con il placebo, nessuna con molnupiravir. Questo ha spinto l’ Fda (Food and Drug Administration) l’ agenzia di controllo statunitense che vigila sulle sperimentazioni) a interrompere il test in anticipo, per l’evidenza dei risultati giudicati positivi e  vantaggiosi. Un altro elemento sul lato buono dell’antivirale della Merck sarebbe il riscontro della bassissima percentuale (1,3%) di quelli che hanno smesso la cura, quasi tutti per intolleranza. Anche lo studio parallelo della Roche (Svizzera) ha dimostrato  che la gran maggioranza delle persone trattate ha ridotto considerevolmente la carica virale entro una settimana dal trattamento.

Anche per i “ monoclonali” sono in arrivo altri quattro “tipi” indicati per pazienti gravi. Gli anticorpi monoclonali sono sostanze contro il Covid-19 confezionati in laboratorio. Sono iniettati per via endovenosa, in ambiente ospedaliero. Al  momento, in Italia, sono stati adoperati su 10.600 pazienti. Il protocollo per il loro utilizzo è un po’ complicato: dopo il tampone positivo, il soggetto contagiato viene visitato e gestito dal suo medico di famiglia : in presenza di fattori di rischio che potrebbero presagire una malattia grave, egli sarà  inviato in ospedale per il trattamento, che richiede circa 6/7 ore, tra infusione e controlli. In Italia sono disponibili 2 composizioni, ma altre 4 dovrebbero essere approvate dall’Ema (Agenzia europea del farmaco) entro la fine dell’anno. Tuttavia, essendo anticorpi, sono condizionati dalle varianti : con la Delta, alcuni prodotti sono risultati meno efficaci.

Viceversa, le “pillole di antivirali” non sembrano risentire delle varianti: agiscono sui meccanismi di replicazione iscritti nel genoma. Molnupiravir – da quanto appreso dalla Merck – ha avuto uguale efficacia nei confronti delle varianti Alfa (inglese, dominante in Italia fino a giugno), Delta e Mu, una variante originata in Colombia e abbastanza preoccupante, ma restata a tutt’oggi limitata a pochissimi casi. In relazione a questi dati, la ditta farmaceutica ha notificato un’efficacia quasi al 50%.

Bisogna augurarsi che i risultati positivi annunciati dall’azienda siano convalidati e che il medicinale anti-Covid sia reso disponibile nel minor tempo previsto. Su questa importante notizia, come accade di solito, ci sarebbe qualche riserva e critica da parte di altri scienziati, sia per l’assenza di informazioni sulla tipologia dei partecipanti allo studio con gli effetti collaterali,tra reazioni avverse e potenziale tossicità al farmaco, sia per la mancanza di una vera e propria pubblicazione scientifica  sul “molnupiravir” , cosa molto diversa da un comunicato stampa.

In più, la decisione dei vertici dell’azienda di interrompere da subito il test-in corso ha ridotto la rilevazione dei dati. All’inizio, Il test era diretto a 1850 pazienti, ma il numero reale è stato solo di 775. Pertanto, l’affidabilità dei risultati può essere discussa, in quanto un piccolo campione  è maggiormente sub-ordinato a variabilità statistica. Inoltre, circa l’eventuale efficacia del farmaco in questione, un’altra osservazione critica riguarda la scelta strategica (che potrebbe aver artificialmente amplificata l’azione stessa)  di metterlo a confronto con un placebo ( prodotto innocuo come acqua distillata, una sorta di non-terapia- senza alcuno effetto) e non proprio con i farmaci anti-infiammatori né con gli anticorpi monoclonali, che hanno già dato prova di una -pur contenuta- efficacia contro i segni e sintomi del Covid-19 e sul decorso  clinico della patologia. Vengono  in mente  anche situazioni precedenti (in piena pandemia) che dovrebbero far riflettere sui dati a disposizione. Infatti, già altri prodotti antivirali erano  stati autorizzati, perché ritenuti potenzialmente validi, per poi dimostrarsi  scarsamente efficaci.

Un fatto analogo a quello del “molnupiravir” è quello del “remdesivir”, un antivirale sviluppato in origine contro il virus Ebola e proposto come cura anti-Covid-19, i cui test furono sospesi  prematuramente dopo aver sperimentato il farmaco in 500 pazienti con esiti apparentemente favorevoli, e, pertanto, il “remdesivir” fu giudicato pronto per l’ utilizzo. Tuttavia, un successivo test allargato a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha mostrato la sua inefficacia e l’Oms ancora oggi ne sconsiglia l’uso. Ciononostante, la casa produttrice Gilead ne ha venduto per 2,8 miliardi di dollari nel 2020, con buone prospettive di guadagno anche a fine 2021. Per cui, anche per il  nuovo antivirale “molnupiravir” i profitti potrebbero essere molto elevati.

Qualora il farmaco fosse approvato dalla Fda, il governo USA è pronto ad acquistare dalla Merck 1,7 milioni di medicamenti al prezzo di 700 dollari, per un totale di 1,2 miliardi di dollari di fondi statali. (circa 700 dollari a ciclo). Un ciclo comprende due pillole al giorno per 5 giorni, da prendere prima possibile dopo il contagio. Di conseguenza, altri governi si comporteranno allo stesso modo, prenotando un idoneo quantitativo di un prodotto farmaceutico autorizzato a contrastare il Covid-19.

Certo, 700 dollari a cura è una somma sproporzionata per i Paesi poveri ed in via di sviluppo; per fortuna un farmaco antivirale è molto più facile da riprodurre rispetto a un vaccino a mRna, pertanto la Merck ha già programmato con alcune aziende indiane le modalità per la diffusione a prezzo ridotto del farmaco. Comunque, si ripropone un grande problema:  come raggirare gli ostacoli dei brevetti, dibattito che trova ancora forti divisioni nel mondo. Il prezzo è alto, perché trattasi di farmaci ottenuti dopo una ricerca rapida, portata avanti con grandi investimenti e rischi d’impresa. Le aziende devono riassorbire le spese. Però, con l’arrivo imminente di altri antivirali, i prezzi saranno calmierati dalla concorrenza.

Non c’è solo il medicinale di Merck: allo studio contro il Covid-19 sono circa 250, ma 3 sono in fase di sperimentazione avanzata. Oltre a molnupiravir, sono in arrivo nella prima metà del 2022 altre due pillole da Roche e da Pfizer. Tutte sono semplici da assumere, anche se l’antivirale di Pfizer (che ha iniziato la fase tre su 2.500 pazienti pochi giorni fa) andrà preso insieme a una dose ridotta di ritonavir, un antivirale usato da anni per l’Hiv (human immunodeficiency virus, ossia quello  dell’immunodeficienza umana che se non curato  provoca l’Aids). Le pillole vengono prima “collaudate” sui pazienti infetti. Contemporaneamente però sono in corso dei test anche sui contatti stretti dei casi positivi. E’ bene comprendere se – qualora fosse verificata l’assenza di effetti collaterali – sia opportuno somministrare  quanto prima un antivirale ai familiari di un contagiato, o ai suoi contatti più vicini, come a scuola o sul posto di lavoro, già prima che il tampone dia risultato positivo o emerga la sintomatologia.

Rispetto ai vaccini, gli antivirali hanno aspetti positivi e non: funzionano anche su persone immunodepresse, perché non coinvolgono il sistema immunitario ma colpiscono direttamente il virus e il suo sistema di replicazione. Il problema è che sono più complessi da perfezionare sotto l’aspetto chimico, e da sperimentare. Vanno poi assunti subito dopo il contagio, altrimenti diventano inefficaci. Abbiamo già detto che il farmaco in arrivo fra uno o due mesi ha un’efficacia del 50%. La facilità di cura ( via orale) è un elemento molto importante. Il Covid infatti nella prima settimana è una malattia virale. È in questo periodo che il virus si replica nell’organismo. Certo, la possibiltà di avere in casa, a portata di mano, un farmaco che può essere ingerito ai primi sintomi, restando in contatto col proprio medico, potrebbe impedire che il Covid non assuma forme gravi. Ciò significa che gli antivirali, onde impedire la moltiplicazione del virus, devono essere dati all’inizio della malattia.

Difatti, il remdesivir, il solo antivirale usato oggi contro il Covid, va somministrato per endovena, quindi in ospedale; analogamente per gli anticorpi monoclonali. Putroppo, ancor prima che un malato si sottoponga a questi presidi farmaceutici deve attendere il risultato del tampone, sentire il suo medico di famiglia (eventuali fattori di rischio), e magari dopo recarsi in ospedale. Pertanto, anche ottimi medicinali , dopo troppo tempo, scadono in forza e potenza.

Una pandemia di questa portata ha necessità di scelte terapeutiche disponibili e di certa efficacia. Questi antivirali hanno le caratteristiche  per poter essere un importante passo in avanti nella lotta al Covid-19/coronavirus, e una buona base di partenza per lo sviluppo di nuove terapie. Naturalmente,  un medicinale  di questo genere da usare in pazienti con sintomi lievi o di media entità, non determina l’abbandono della pratica  vaccinale.

Inoltre, non azzera le giustificate preoccupazioni ancora in corso per riuscire a  frenare e bloccare il virus. Occorre avere pazienza e, nell’attesa, tanta attenzione e rispettare alcune regole di igiene e  relazioni sociali.

Dobbiamo augurarci che questa superpillola non sarà appannaggio solo per le patologie lievi, ma possa diventare il medicamento per tutti i gradi della malattia infettiva virale. Tra un mese la pillola potrebbe essere disponibile negli Usa. L’Agenzia europea del farmaco dovrebbe seguire subito dopo.

Prof. dott. Giovanni Savignano