Con uno stile poetico e denso di simboli, l’autore Giuseppe Tecce di “Racconti dell’Irpinia” narra territori fuori dal tempo. I dodici racconti, editi da Graus, intrecciano mito, memoria e desiderio, attraverso una riflessione profonda sull’identità e sul senso dell’appartenenza, restituendo alla scrittura una funzione conoscitiva e profondamente umana.
In Racconti dall’Irpinia – Graus edizioni – l’autore compone una riflessione esistenziale sotto forma di narrazione, restituendo alla letteratura quella funzione antica e necessaria di specchio dell’anima collettiva. Dodici racconti brevi, radicati nel paesaggio dell’Irpinia, ma affrancati da ogni provincialismo, costruiscono un universo simbolico in cui il tempo, lo spazio e l’identità si dissolvono, per poi ricomporsi in forme nuove ed inattese.
Tecce si fa cantore del tempo sospeso, luogo in cui l’uomo abita non secondo la freccia lineare della cronologia, ma secondo le circolarità interiori della memoria, del desiderio e del mito. I suoi personaggi non vivono in un tempo storico, ma in una dimensione dell’essere che sfugge alla contingenza: sono ombre incarnate, forme archetipiche, frammenti d’infinito che abitano il limite. Il loro spazio non è geografico, ma ontologico. L’Irpinia, allora, non è solo paesaggio: è simbolo, è metafora del ritorno, del radicamento, dell’origine che ci fonda e ci sfugge.
Egli intreccia ironia e nostalgia, incanto e concretezza, in una narrazione che si pone come atto conoscitivo, un modo per interrogare la realtà senza la pretesa di definirla, ma con il desiderio di abitarla poeticamente. Come i filosofi presocratici, Tecce guarda il mondo con stupore primordiale: ogni storia è una piccola cosmogonia, una visione dell’Essere incarnata in una voce, un gesto, un silenzio.