UNESCO: per unire o per dividere!

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Il mondo globalizzato, tappezzato di focolai, più o meno estesi, di guerre ora combattute ora preparate, ha bisogno forte di pace e, almeno a parole, tutti i governanti si sentono impegnati in prima linea. Le organizzazioni internazionali fanno del loro meglio, debbono la loro ragione d’essere alla difesa ed alla promozione della pace nel mondo e, pure non sempre riuscendovi, costituiscono un argine alle ingordigie dei più forti. Purtroppo, a ben guardare, non è sempre così. Sarà passato sotto silenzio o con scarsa risonanza mediatica nell’ultimo mese, esattamente il 18 ottobre, la risoluzione dell’UNESCO, l’organizzazione internazionale che, per conto dell’ONU, promuove e tutela il patrimonio culturale dell’umanità, che nega ogni legame tra Gerusalemme ed il popolo ebraico. A mio avviso, ma pare che – aldilà delle posizioni ufficiali adottate – sia condiviso non solo dal mondo ebraico e israeliano, ma anche da tanti altri intellettuali italiani e dallo stesso presidente del consiglio Renzi, il quale, esprimendo la personale sorpresa, ha affermato che sostenere l’inesistenza di rapporti tra Gerusalemme e il mondo giudaico equivale ad affermare che il sole fa ombra. Ho parlato di posizione personale, perché in realtà il nostro paese, come tanti altri, si è astenuto, consentendo alla risoluzione di essere adottata: solo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania, l’Olanda, la Lituania e l’Estonia, si sono apertamente opposti. Come interpretare l’accaduto, di una gravità che offende il buon senso? Con il tentativo di piegare la storia, i fatti agli obiettivi politici più immediati, rispondenti a ragioni e calcoli di gretto e ridotto interesse di bottega. A dirla tutta, che il problema politico-culturale del Medio-Oriente sia costituito dal bisogno di riconoscere sul piano internazionale identità statuale al popolo palestinese è una prospettiva da costruire e consolidare, che ci sia la necessità di riconoscere in determinati contesti – e tale è il caso di Gerusalemme e non solo – la presenza plurale di popoli e fedi religiose è un dato incontrovertibile; che questi traguardi, però, debbano potersi realizzare stravolgendo la storia, calpestando le identità, ricorrendo alla mistificazione e, peggio, negando l’evidenza, significa che si è persa la bussola, che si brancola nel buio. E il dramma è che tutto ciò accade ad opera di un organismo che deve promuovere la cultura, la struttura vocazionalmente deputata a tessere rapporti positivi di rispetto, comprensione e, dove possibile, di condivisione. Dare finalmente dignità di popolo e di stato ai palestinesi del Medio-Oriente è un dovere che la comunità internazionale deve assumersi come necessità vitale e non più rinviabile, che la storia sia costituita da stratificazioni e compresenze successive di popoli, culture, lingue diverse è constatazione fin troppo facile: non sempre, però, riesce agevole o naturale riconoscere la presenza e il ruolo di altri, anche se di palese evidenza. La storia dei paesi, delle nazioni è sempre stata costituita da convivenze tra gruppi ora minoritari ora maggioritari ed ognuno di loro ha lasciato prove e testimonianze significative della propria identità. Per tornare a Gerusalemme, che essa sia realtà evidentemente  plurale, in prima istanza ebraica, poi cristiana e islamica, non credo che abbia bisogno di patrocinatori d’eccezione. Non può negarsi l’evidenza. Per questo sono convinto che l’UNESCO abbia scritto con la risoluzione del 18 ottobre una brutta pagina della sua storia, con la complicità di paesi che spesso sottomettono “la ragione al talento”, all’utile immediato. Non è cozzando contro l’evidenza della storia che si scrive il futuro dell’umanità, soprattutto da parte di organismi che perseguono la pace e che intendono utilizzare il patrimonio culturale. Gerusalemme affonda le sue radici nell’essere stata ed essere tuttora ebraica, cristiana e islamica, con buona pace dell’Unesco e di quanti si sono lasciati sedurre da sirene provenienti da chissà quali lontani universi.