L’EDUCAZIONE: FIN DOVE PUO’? di Nicola Prebenna

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L’educazione aiuta a interpretare i fatti del mondo. S’alternano di continuo fatti di terrorismo, Londra è ancora sotto tensione, fatti di guerra sono esperienza quotidiana in diverse realtà da noi non molto distanti, e le dispute politiche non conoscono tregua. Non ha importanza che si tratti di politica nazionale o locale, o che l’attenzione sia concentrata su questioni di vitale importanza per il futuro del pianeta. In questo momento desidero fare qualche considerazione su fatti di ordinaria quotidianità, e corredarla poi di qualche inevitabile chiosa. Un tempo gli uffici pubblici sembravano dei fortini sotto assedio: i cittadini che reclamavano servizi si trasformavano in cecchini. La folla era consistente, la fila interminabile, i furbi abbastanza numerosi. Ognuno, inchiodato al proprio posto, cercava di tenere sotto controllo l’ordinato scorrimento della fila. Tentativi maldestri di aggirare gli ostacoli talvolta sfuggivano anche ai più attenti, talvolta incappavano nelle bordate furiose di chi denunciava la manovra scorretta. Il clima che si respirava era carico di tensione. Oggi le cose sono migliorate. In primo luogo gli uffici sono stati dotati di erogatori di scontrini a determinare la successione nelle operazioni da sbrigare, poi l’educazione impartita nelle sedi più diverse e la consapevolezza del rispetto degli altri hanno, in assenza di strumenti idonei, fatto divenire naturali le buone maniere, e normale attendere il proprio turno. E’ un’esperienza gratificante constatare come, entrando in un ambiente dove c’è attesa e da fare anticamera, quelli che arrivano per ultimi si premurano di chiedere chi è l’ultimo arrivato. Forse, da qualche parte, ci sarà pure qualcuno che si ostinerà a tentare di fare il furbo, ma che si sia fatto un bel passo in avanti è sotto gli occhi di tutti. Ciò è l’effetto combinato di diversi fattori, che possiamo riassumere nel concetto di educazione, processo a cui in tanti si è contribuito. In fondo, se una comunità si impegna a dar vita a comportamenti rispettosi della dignità dell’altro e fa del rispetto una categoria comportamentale fondamentale, il risultato di quanto si intende realizzare è nella sostanza ordinato e positivo. La chiosa a cui accennavo in premessa è la seguente: se l’educazione è in grado di produrre risultati positivi nelle questioni di normale amministrazione, come mai non si riesce a far crescere la sensibilità e la disponibilità al rispetto dell’altro, come persone e come beni ad esse legati, e a realizzare una comunità in cui prevalgano e siano rispettate le regole? Non dovrebbero valere, a livello di gestione della res publica, da parte dei governanti, le stesse regole, gli stessi comportamenti che valgono nelle comuni relazioni interpersonali? O, forse, ciò che vale per la quotidianità, non conta nella gestione del bene comune, ad onta dei ripetuti ed ossessivi richiami alla legalità? Affiora un dubbio: non è che si debba constatare un deficit di educazione, non solo nel senso di buona educazione, ma dell’assenza del processo che faccia crescere, etimologicamente, i fiori che profumano e che tenda ad eliminare la mala pianta?