La crisi del settore vitivinicolo in Irpinia. La ricetta di Teobaldo Acone, Ambasciatore di Città del Vino

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“Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme è un successo”. Apre con una frase  di Hanry Ford l’Ambasciatore di Città del Vino Campania Teobaldo Acone nel sintetizzare il problema del settore vitivinicolo in Irpinia e nella difficoltà di alimentare e far crescere la cultura del vino che sia il vero volano dell’economia territoriale.

Da quanti anni è impegnato nella promozione del settore vitivinicolo in Campania con l’Associazione nazionale Città del Vino?

«Sono circa vent’anni che faccio questo lavoro. Lo chiamo lavoro ma non lo è: la mia è passione, amore per il territorio, per la mia terra che amerei vederla nell’albo delle eccellenze nel senso più ampio del termine. Ricordo il mio primo approccio con l’associazione e nel settore e fu proprio in uno dei comuni più piccoli della Campania, Petruro Irpino terra che da vita al prestigioso Greco di Tufo (uno dei vini più apprezzati sui mercati italiani e internazionali), con un convegno a cui era presente il presidente d’allora, Massimo Corrado e il direttore, mai cambiato, Paolo Benevenuti. Petruro, fu anche uno dei primi comuni ad iscriversi a Città del Vino, status che conserva tutt’ora».

Dalle sue parole si evince che fu una partenza eccellente, tutta in salita, ma poi cos’è successo negli anni vista la fatica che fa il territorio ad emergere con le sue produzioni di alta qualità e con un bagaglio storico, ambientale e paesaggistico non secondo a nessuno in Italia?

«Ho avuto la fortuna di incontrare Sindaci di una cultura smisurata, come Biagio Desiderio di Petruro Irpino, Vanda Grassi di Montefalcione e Ubaldo Reppucci di Lapio con cui ho fatto delle cose molto interessanti. Il problema è che i Sindaci cambiano ogni cinque anni e non tutti hanno un grado culturale ed approccio alla tematica continuativo ai predecessori; quindi tutto il lavoro fatto può svanire anche per un posizione partitica che nulla ha a che fare con il bene del territorio. La falla di Città del Vino è questa: non avere lo stesso interlocutore che possa far crescere progetti a lungo termine. Inoltre, ma non per ultimo, la difficoltà di approccio e coesione con le realtà produttive, soprattutto le piccole aziende».

Ci può spiegare meglio

«In questi giorni è uscito il bando per accedere alla “Selezione del Sindaco” una manifestazione internazionale di Città del Vino che si terrà sulla Costiera Amalfitana. È un’opportunità soprattutto per le piccole aziende, ed in Irpinia ve ne sono tante che producono vini di alta qualità. Su novanta comunicazioni inviate per posta elettronica solo ventisette hanno letto, le altre non hanno nemmeno aperto l’invito. Ho nuovamente inoltrato il Bando ma ad ora non ho avuto nessuna richiesta di ulteriori informazioni, se non quelle di alcune cantine amiche che mi hanno dato una disponibilità tutta da confermare. Eppure, la kermesse è piuttosto allettante; sulla Costa saranno presenti buyer e ristoratori. Un’ottima vetrina a cui si concorre non solo per vincere il Premio ma per far conoscere il proprio prodotto, avere delle commesse anche da paesi stranieri come il Brasile o la Polonia, quanto la Romania. Avere l’opportunità di proporsi ad un mercato importante, e non parlo ai colossi irpini del settore vitivinicolo, ma alle piccole aziende che hanno interesse a piazzare le proprie bottiglie».
Secondo lei perché c’è questa “apatia”?
«L’unica spiegazione logica e quella di mancanza di cultura e soprattutto di formazione. Non riescono a comprendere che sono imprese vitivinicole e non aziende agricole. Una grossa responsabilità, in tutto questo, ce l’ha anche l’Ispettorato Agrario quando per anni ha approvato progetti ed elargito contributi a cantine che non avevano previsto la sala degustazioni. Un segnale indicativo sulla cultura di fare impresa, oggi, in Irpinia. Basti pensare che più della metà delle cantine (circa 250 in provincia di Avellino) non hanno sale degustazioni e personale che possa, professionalmente spiegare il prodotto e promuoverlo ai visitatori. Invece, se fosse stato fatto un discorso di imposizione nel momento in cui si chiedeva il finanziamento, e forse anche ante-iscrizione, molti proprietari di terreni adibiti alla coltivazione di uve si sarebbero fatti indietro nel trasformare il prodotto. Il perché? Essere imprenditori vitivinicoli è un arte. Il vino è cultura. E tutto ciò che gira intorno ad esso è, o meglio potrebbe essere, oro!».
Quali sono allora i passi da compiere in Irpinia per risolvere dei gap che sembrano “strutturali” nel sistema sviluppo settore vitivinicolo?
« Le problematiche del settore vitivinicolo in Irpinia si possono racchiudere in tre parole: Formazione, Comunicazione e Promozione. Gli investimenti e le forze vanno indirizzati in questi tre settori, non in altre  tematiche. Chi si avvicina a questo mondo deve essere formato come imprenditore e come culture del vino. Del nettare occorre conoscerne tutta l’essenza, la sua storia, la tradizione, la vita della vite, la sua identità ed entità, Conoscerlo nella sua interezza significa apprezzare e soprattutto saperlo comunicare agli altri. Solo così i nostri interlocutori potranno a loro volta gradire ed essere stimolati a ad avvicinarsi, a condividere sapori e profumi e quindi la sua storia, il territorio, le bellezze paesaggistiche, l’arte (intesa nel senso più ampio e articolato del termine) del territorio. Comunicare bellezza per ricevere bellezza tradotta in economia, sviluppo, crescita culturale e sociale della nostra terra. Conoscere è saper anche comunicare in modo giusto (oggi è riduttivo lo strumento della stampa, contribuiscono di molto e in modo diretto i social) e di conseguenza promuovere il prodotto ed il territorio. Ciò lo si può fare solo avviando progetti che includono questi tre aspetti che sono inscindibili. Insomma coltivare e produrre vino è riduttivo».

Le istituzione, invece, che cosa possono fare?

«La delusione dell’Irpinia è a monte: la politica sbagliata fatta in tutti questi anni che non ha dato la possibilità di crescere a chi ha competenze, preparazioni e cultura. In tutti i campi, da quello politico a quello imprenditoriale e altro. Si è sempre pensato di “piazzare” uomini “fidati” nei posti di rilievo e di prestigio per poterli meglio controllare a discapito della preparazione e delle competenze e quindi della crescita. In questi ultimi tempi qualcuno si è accorto del grande errore che non ci permette di tenere il passo e organizza scuole di politica e formazioni. Recuperare tanti anni è difficile. La mia speranza è che oggi, con mia grande sorpresa, mi sono ritrovato con persone con cui ho lavorato bene e seriamente e ho realizzato qualcosa. Ricordo Jenny Capozzi, Fernanda Ruggiero (irpine) Maria Stella Di Martino di Salerno ed altre e guarda caso sono tutte donne. Ho ritrovato e conosciuto esperti uomini: con tutti mi auguro di approntare e realizzare progetti che diano una svolta seria al territorio».

Sembra essere molto pessimista. Non credo che in Irpinia non vi siano progettualità e imprese che fanno la differenza.

«Ovviamente sì. Il mio discorso non va ai colossi del settore vitivinicolo irpino e parlo di Caggiano, Moio, Mastoberardino, I Feudi. Vuole essere da sprono a tutte quelle piccole aziende che sono eccellenti ma non fanno il salto di qualità. Il punto è che si fa fatica anche con gli enti: Area Vasta, il Comune di Avellino, gli Otto Comuni del Greco di Tufo, quelli del Fiano, la Camera di Commercio. Anche se ad onor del vero molti protocolli d’intesa sono stati già siglati come quello con la Regione Campania, ma c’è bisogno di più determinazione e di procedure più celeri. Non si può più perdere tempo. Infine, è necessario ed improcrastinabile costituire un Consorzio di Tutela con un Direttore e non con il solo Presidente. Un direttore che garantista le istanze di tutti, che lavori a lungo termine, su pianificazioni territoriali che hanno una progettualità complessa e corale; piani di lavoro proiettati nel futuro dove vi siano compresi le tante e variegate peculiarità oggi dormienti, assopite. Al presidente, il Consorzio, la figura “politica”».