Il tempo presente è difficile, le difficoltà notevoli, la paura tanta. Il coronavirus è lo spettro che si aggira per il mondo. Si può dire che non ci sono isole felici. Alcuni paesi fanno registrare al momento pochi casi, altri come l’Italia, sono tra i più colpiti. In questa riflessione non pretendiamo sostituirci a coloro che hanno il termometro della situazione e che hanno già comunicato cosa fare. Anche i media e i social sono veicoli utili a diffondere le modalità, le buone abitudini, i comportamenti che sono costantemente ricordati dai responsabili e che tutti conoscono. Evitare contatti ravvicinati, tenere la distanza di un metro, lavarsi le mani con cura e con sostanze igienizzanti. A notizie e dati certi si aggiungono dati più volatili e imprevedibili. Quanto lo stato d’allerta durerà non è possibile prevederlo. Sembra certo che, nonostante tutti gli sforzi messi in campo, ridurre il virus all’impotenza richiederà tempi lunghi. Il paese intero dovrà rimodulare le proprie abitudini. Le imprese, nei limiti delle disposizioni, devono continuare, per quanto possono e con tutte le difficoltà immaginabili, a garantire produttività. Lo scenario che si è già delineato e che sarà ancora più chiaro prossimamente è molto diverso da quello abituale. Tutto questo deve costituire per noi tutti una occasione di riflessione e indurci a considerare le cose che contano sott’altra prospettiva. Intanto occorre partire dalla consapevolezza che le difficoltà ci sono ma che saranno, in un arco di tempo ragionevole anche se imprevedibile, risolte. I disagi che si avvertono devono indurci a riflettere seriamente sui comportamenti, sulle abitudini che dovremmo assumere per tutelare la salute nostra, degli altri, della terra. Anche se non c’è una stretta correlazione tra coronavirus e mali di cui soffre il pianeta, che senso ha superare una difficoltà e rimanere in mezzo ad altri problemi più complessi, più seri, e su più larga scala? E sono tutti problemi da cui il pianeta è afflitto: cambiamenti climatici, scarsità di piogge, scioglimento dei ghiacciai, surriscaldamento della terra. Il presente potrebbe configurarsi come una sorta di apprendistato: prendere nuove abitudini che possano poi divenire una costante, superata la difficoltà attuale. Conta che sappiamo far tesoro dei fatti e anche dalle situazioni difficili ricavarne positività. La letteratura ci offre diversi capolavori che hanno descritto gli effetti della peste. Ricordiamo la descrizione della peste di Atene del V secolo a.C. descritta dallo storico Tucidite, quella che descrive il Boccaccio del 1348, quella del seicento descritta dal Manzoni, quella descritta da Camus. Tutte opere magistrali nella rappresentazione dei mutamenti, dei cambiamenti nei comportamenti, nei modi di fare e di pensare che si diffondono nella società. Desidero concludere questa breve riflessione ricordando come solo nel Boccaccio sia previsto un antidoto alla paura indotta dalla diffusione della peste. Esso consiste nel ritiro della lieta brigata in campagna e lì trascorrere il tempo novellando, fino a quando il pericolo non sarà cessato. La lezione che potremmo trarre è che nelle difficoltà ritrovarsi in famiglia, a casa, può significare la riscoperta dell’intimità, il piacere di vivere serenamente, lontano dalla frenesia di correre, di uscire, di evadere. Ancora, come i giovani del Boccaccio, ritrovare il colloquio con i libri, soddisfare la sete di conoscenza, aprire lo sguardo su orizzonti altri rispetto alle urgenze quotidiane, interloquire con i grandi e non soltanto con loro, è un modo molto positivo di utilizzare al meglio un momento negativo. Poco è lo spazio che nella frenesia della modernità consacriamo alla meditazione, alla riflessione. Costretti a riscoprire il piacere della vita domestica, possiamo utilmente impiegare il tempo per confortare lo spirito e arricchire la mente.
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