La legge elettorale e l’araba fenice! di Nicola Prebenna

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Il cruccio e il tormento degli ultimi presidenti della Repubblica sono costituiti dalla speranza di avere una legge elettorale che funzioni. Aveva spinto in questa direzione il presidente emerito Napolitano, sta incalzando il presidente Mattarella. Tutti i rappresentanti politici si dicono pronti a dare il loro contributo per una legge elettorale giusta. In realtà, appena la palla è passata nel campo dei partiti, le opinioni si son fatte molteplici e la soluzione sfugge sempre di mano, ora a Tizio ora a Caio ora a Sempronio; tanto che l’ipotesi di legge elettorale equilibrata è un po’ come l’araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Il sistema elettorale più democratico è quello fondato sul sistema proporzionale: ciascun partito esprime, nelle diverse competizioni elettorali, tanti rappresentanti eletti, in ragione dei voti riportati. Tale era quanto prevedeva nella sua prima formulazione il dettato costituzionale e in base a tale principio è andata avanti per diversi decenni la cosiddetta prima repubblica. La storia ha, però, dimostrato che l’eccessiva frantumazione della rappresentanza politica, se rispettava rigorosamente dal punto di vista numerico la volontà dei cittadini, non garantiva continuità governativa, tanto che nel primo cinquantennio si è assistito al poco edificante spettacolo, di un governo ogni anno. Il bisogno di garantire continuità di governo, senza le imprevedibili imboscate di partiti e partitini, pronti alla minaccia quando i propri interessi, ora legittimi ora pretestuosi, non sembravano essere garantiti, fu la molla che portò alla modifica della legge elettorale, riveduta, corretta, imbarbarita a seconda delle interpretazioni, che in parte ha risolto alcuni problemi aperti del sistema proporzionale, in parte ne ha creato di nuovi. Il dato chiaro, a nostro avviso, incontrovertibile, è che non esiste un sistema elettorale perfetto; la sua bontà o i suoi limiti si commisurano a seconda di ciò che con essa ci si propone di ottenere. Ed in coro tutti rispondono che si vuole garantire governabilità. La questione è come procedere alla elezione dei deputati e senatori. Definire criteri omogenei per l’elezione dei rappresentanti delle due camere è una necessità da tutti avvertita, utile ad eliminare che, a parità di voti, in una camera si registri una maggioranza e nell’altra una maggioranza o diversa o molto risicata con tutti i rischi prevedibili per la governabilità. Lo stallo e le bizantine disquisizioni delle diverse posizioni dipendono dalle valutazioni che ciascuna forza politica fa in funzione della utilità di parte del sistema elettorale che si propone e si auspica; se in un arco di tempo breve gli interessi di una parte variano, si è propensi a modificare quanto fino a poco prima andava bene. Insomma, mettere mano ad una legge elettorale, che non potrà mai essere perfetta, ma che sia stabile, al di là degli interessi contingenti di parte, sembra impresa impossibile. Ciò segna la distanza e la differenza che ci separa dalle democrazie più mature d’Europa. I sistemi elettorali tedesco e francese, tanto per fare degli esempi concreti, non sono perfetti, ma le regole sono chiare, stabili, i cittadini le conoscono e, nel bene e nel male, le utilizzano senza clamori particolari. Sarebbe il caso che una nuova legge elettorale in Italia possa costituire una regola certa: con premio di maggioranza o per la coalizione o per il partito che prende più voti non fa differenza. Conta o dovrebbe contare che una legge, chiara, sia partorita e ad essa ci si ispiri costantemente: o aleggerà ancora la favola dell’araba fenice?